| IL MISTERO DELLA TRINITA', in Boismard M. E., All’Alba del Cristianesimo, Piemme, 2000, pp. 142-144.
Il primo testo che ci si presenta è quello di Matteo 28,19, secondo il quale Cristo stesso avrebbe detto ai suoi apostoli: “Andate dunque e ammaestrate [matheteusate] tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo”. Come interpretarlo? La BG nota con prudenza: “È possibile che questa formula risenta, nella sua precisione, dell’uso liturgico stabilitosi più tardi nella comunità primitiva. Si sa che gli Atti parlano di battezzare ‘in nome di Gesù’, (si veda Atti degli Apostoli 1, 5, 2, 38). Più tardi si sarà esplicitato il legame con le tre persone della Trinità”. La maggior parte degli esegeti sostituirebbero la formula iniziale “è possibile” con “è certo”. La formula trinitaria, dunque, non risale a Cristo, ma all’ultimo redattore del vangelo di Matteo, probabilmente verso gli anni 80. Il problema diventa, forse, ancor più radicale. In un articolo apparso nel 1901, Fred C. Conybeare (1) ha analizzato le citazioni di questo testo matteano fatte dallo storico cristiano Eusebio di Cesarea, morto nel 339. È vero che Esuebio conosceva il testo classico da lui citato all’occorrenza, ma nelle sue opere più recenti. Eusebio cita Matteo 28,19 sotto questa forma: “Andate, fate discepoli in tutte le nazioni, nel mio nome”. Le due citazioni più interessanti si leggono nella sua Dimostrazione Evangelica (2). Nel primo passaggio (III, 6, PG 24, col. 233), Eusebio cita integralmente Matteo 28,19 nella sua forma abbreviata, compreso il seguito del testo “[…] insegnando loro a rispettare tutti ciò che vi ho comandato”. Nel secondo passaggio (ibid. col. 240), prima cita le parole: “Andate, fate discepoli in tutte le nazioni”, poi commenta lungamente l’espressione “nel mio nome”, prova che egli l’avesse letta bene nel suo testo evangelico. Termina citando nel modo più completo: “Andate, fate discepoli in tutte le nazioni, nel mio nome”. Dunque è certo che Eusebio conoscesse una forma contratta del testo matteano nel quale le parole “battezzando nel nome del Padre, e del Figlio e dello Spirito Santo” erano rimpiazzate dalla semplice formula “nel mio nome”. È ancor più difficile trascurare questa testimonianza di Eusebio di Cesarea, in quanto è sostenuta da Giustino l’apologeta. Nel suo Dialogo con Trifone (39,2), composto verso il 150, egli scrisse che se Dio ritardava il suo giudizio finale lo faceva sapendo che ogni giorno “alcuni, essendo stati fatti discepoli [mathèteuomenous] nel nome del suo Cristo” abbandonavano la via dell’errore. Queste ultime parole mostrano chiaramente che si trattava di pagani, come nel testo di Matteo (3). Nella forma contratta, attestata da Eusebio e Giustino, il testo matteano offre un buon parallelo con quello di Luca 24, 47: “[…] nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati” (4). Luca avrebbe rimpiazzato il raro verbo “fare dei discepoli” con il verbo “predicare”, molto più in uso; avrebbe aggiunto anche il tema, a lui caro, del pentimento in vista della remissione dei peccati. In ogni modo, la formula trinitaria di Matteo 28,19 non può risalire a Cristo. Al massimo sarà stata introdotta dall’ultimo redattore matteano, verso gli anno 80. Peraltro, anche volendo ipotizzare che essa risalga a questo redattore, la formula non costituisce una prova ineluttabile della fede in Dio-Trinità, come vedremo dopo aver analizzato le formule pseudo-trinitarie.
(1) The Eusebian form of the Text Matth. 28, 19, “Zeitschrift fur die neutestamentliche Wissenschaft, 2 (1901), 275-288. I risultati del suo studio sono stati contestati da G. Ongaro, L’autenticità e integrità del comma trinitario in Matteo 28, 19, “Biblica” 19 (1938), 267-279. Ma la sua argomentazione si riassume così: poiché Eusebio (come Giustino) ha conosciuto il testo classico, non c’è alcuna ragione di pensare che egli abbia conosciuto un’altra forma di testo. (2) Infatti questi due passaggi non fanno che riprendere ad litteram i due di un’opera più antica, la Teofania. (3) Per provare che Giustino conosceva la forma classica del testo matteano, G. Ongari rinvia a Apol. I, 63,. In questo testo, Giustino dice che noi siamo nati a vita nuova, o che siamo stati lavati (purificati) nel nome della Trinità (di cui egli sviluppa ogni termine); ma nulla permette di vedere in questo passaggio un’allusione a Matteo 28, 19. Il fatto è che si vuole giustificare a tutti i costi un testo della Commissione biblica! (4) Questo parallelo, notato da Conybeare, è segnalato anche nei riferimenti marginali dell’edizione Nestle-Aland.
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Note
Dunque, F. C. Conybeare era un critico del testo e esegeta vissuto tra l’800 e inizio ‘900.
Nella nota 4, Boismard cita la Nestle-Aland. Poiché il libro è stato pubblicato in Francia nel 1998, la Nestle-Aland a cui egli si riferisce è la 26a edizione.
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