CITAZIONE
Sul p.to 3 vi chiedo se è possibile che Gesù abbia avuto la percezione o la capacità di capire che sarebbe morto di morte violenta.
La mia risposta è: assolutamente sì.
- La morte di Giovanni il Battista – il maestro di Gesù - non poté non lasciare un segno profondo su Gesù.
- In Q 16,16 si dice che il regno di Dio patisce violenza dai giorni di Giovanni il Battista. Se questa è l’interpretazione più corretta del detto (come è noto si tratta del controverso logion dei violenti), allora agli occhi di Gesù il regno di Dio che ha cominciato ad irrompere nel mondo con la comparsa del Battista, è una realtà attualmente vulnerabile e che soffre un’opposizione violenta.
- L’apoftegma in Lc 13,31-33 testimonia che le “attenzioni” di Erode si rivolgevano anche a Gesù (v. 31), e a questa "soffiata" fornita dai farisei, segue Gesù replica dando della volpe ad Erode ed enunciando l’enigmatico detto “Ecco io scaccio demoni e compio guarigioni oggi e domani, e il terzo giorno sono compiuto”. Francois Bovon considera storico questo detto, che certamente Luca prende dalla tradizione, e sul quale Luca modella il v. 33 sul profeta che non può morire fuori Gerusalemme. E’ possibile che quel “sono compiuto” indichi la fine del proprio ministero attraverso la morte, ma una morte vista come perfezionamento e non come fine ignominiosa.
- In Q 11,2b-4 (il Padre nostro) i discepoli devono pregare per scampare al peirasmos.
- In Q 10,3 Gesù invia i discepoli in missione come pecore in mezzo ai lupi.
- In Q 12,4 abbiamo un invito a non temere coloro che uccidono il corpo.
- In Mc 8,34-35 // Q 14,27.17,3 // Gv 12,25-26 si dice che la sequela di Gesù implica la disponibilità/necessità di prendere su di sé la croce e di perdere la propria vita.
- In Mc 10,38-39 ai discepoli viene detto che riceveranno lo stesso “battesimo” che deve ricevere Gesù e che berranno il medesimo calice.
- In Mc 14,25 Gesù, in un detto collocato nell’ultima cena, pronuncia il “voto” di non bere più del frutto della vita finché non venga il regno di Dio.
Mi sembra che questo costituisca un’insieme abbastanza solido di tradizioni che attestano una chiara aspettativa da parte di Gesù e del suo movimento, di dover andare incontro ad un periodo di tribolazione, di sofferenza, persecuzione e possibile fine violenta.
Studiosi come Albert Schweitzer, Joachim Jeremias e Dale Allison hanno sostenuto che Gesù condivideva una particolare concezione giudaica secondo cui la salvezza escatologica sarebbe venuta dopo e attraverso un periodo di “grande tribolazione” (cfr. 2 Ap. Baruch ; 1 Enoch 91-105 ; Or. Sib. III; 4 Ezra). E se è vero che Gesù puntava molto sul libro di Daniele, non è forse lì che troviamo la concezione più limpida secondo cui il popolo dei santi dell’Altissimo passa attraverso sofferenza, persecuzione e morte, prima di ricevere il regno?
Io credo pertanto che Gesù non pensasse tanto alla sua particolare morte, quanto ad un destino di sofferenza e possibile morte che incombeva tanto su di lui quanto sui discepoli (così la maggioranza delle tradizioni citate sopra). Similmente, non pensava tanto al suo trionfo personale (risurrezione) oltre la “tribolazione”, quanto al trionfo di tutto il gruppo (cfr. Lc 12,32: “Non temere piccolo gregge, perché il Padre vostro si è compiaciuto di darvi il regno”; Q 22,28-30 (“Voi che mi avete seguito, nel [regno/rigenerazione] siederete su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele”).
Non credo quindi che Gesù pensasse di dover morire in quanto Messia, come se esistesse all’epoca una concezione giudaica del Messia sofferente e morente (cosa che la grande maggioranza degli studiosi – eccetto Knohl e magari qualcun altro – nega).
Faccio poi notare che anche Mauro Pesce e Adriana Destro pensano che Gesù: “
abbia realisticamente temuto di essere esposto a una morte violenta”. A loro avviso tale ipotesi “
va valutata all’interno del contesto storico e dell’immaginario culturale in cui viveva. In tempi di sommovimenti e repressioni alto è il pericolo di morte per leader religiosi seguiti da masse numerose, possibili antagoniste del potere dominante. (…) E’ sulla percezione del rischio che, come insegnano gli studi di antropologia della catastrofe, si innesta la visione escatologica di Gesù: la punizione per i peccatori è imminente perché imminente è la catastrofe cosmica da cui scaturirà il regno di Dio. L’imminenza di un intervento divino finale è connessa ad uno scenario in cui la violenza irromperà certamente” (A. DESTRO – M. PESCE, L’uomo Gesù. Giorni, luoghi, incontri di una vita, Mondadori, Milano, 2008, pp. 180-181).
Tornando all’articolo di Pesce, io penso quindi che Gesù e i suoi discepoli si aspettassero di poter andare incontro ad una fine violenta (non necessariamente la vergognosa fine sulla croce). E penso quindi, a differenza di Pesce, che la morte di Gesù non fu un avvenimento che giunse totalmente inaspettato. Naturalmente, di fronte alla dura prova dei fatti, i discepoli si sono dileguati, arrivando perfino a rinnegare il maestro, ma questo è qualcosa di abbastanza comprensibile: una cosa è accettare mentalmente l’idea di poter andare incontro ad una fine violenta, un’altra cosa è quando la morte bussa alla tua porta.
Il fatto che dopo la morte di Gesù il movimento non si sia dileguato, e forse il fatto stesso di aver sperimentato la risurrezione del loro maestro, possono spiegarsi proprio sulla base delle loro aspettative circa la “tribolazione escatologica”. Dopo la crocifissione, poterono pensare che l’evento, pur devastante e inconcepibile nella sua forma concreta (la crocifissione), poteva comunque essere parte della tribolazione escatologica che essi sapevano di dover attraversare.
I movimenti profetici tendono a non abbandonare la loro fede di fronte alla smentite della realtà, per quanto dure possano essere, bensì si adoperano per reinterpretare le aspettative precedenti con l’evidenza della realtà attuale. Penso che le cose possano essere andate così anche con i discepoli di Gesù.
E non è un caso che le apparizioni pasquali venissero da loro vissute ed categorizzate come “risurrezione”? Perché non assunzione, perché non rapimento, glorificazione dello spirito? Risurrezione era un termine tecnico del vocabolario escatologico. E non riguardava singoli, bensì aveva portata collettiva (e così la interpreta pure Paolo, per il quale la risurrezione di Gesù è anticipazione, primizia, di quella generale, e in quanto tale certifica che la fine dei tempi è già arrivata).
Il fatto che i discepoli abbiano interpretato proprio come “risurrezione” le apparizioni del loro maestro, conferma che essi, nonostante la crocifissione (esperienza che riuscirono anzi ad armonizzare entro il proprio orizzonte mentale), non avevano affatto rinunciato all’attesa escatologica imminente.