| Hard ha certamente ragione quando riporta la notizia di Flavio (Guer. Giud. II,254) ” In Gerusalemme nacque una nuova forma di banditismo, quella dei cosiddetti sicari“ e quando afferma che il fenomeno sorge sotto Felice. Non mi sembra, però, che possa escludere l’esistenza di tali banditi prima del 50, sulla base del riferimento al Talmud (che usa il termine, senza indicare esattamente i tempi) e di una affermazione di R.Eisenman (che, comunque, non ha auctoritas di storico). Mi sembra che Filipponi abbia argomenti per dire che “Il sistema dei sicari già precedentemente sperimentato, diventa pratica nel II periodo romano prefettizio della Ioudea”. Egli infatti - da quanto deduco dalle letture comparate di Giudaismo romano, di Scetticismo e tecnicismo in epoca tiberiana , e degli ultimi tre libri di Antichità Giudaiche,- parlando di Felice, fratello minore di Pallante - (seguendo nella datazione Tacito e non Flavio) evidenzia che il liberto era presente in terra giudaica già con Cumano (48-52) e forse, anche precedentemente, con Fado(44-46 d.C.) e con Tiberio Alessandro (46-48 d.C.) ed aveva funzioni di epimeletes in Samaria, carica avuta forse da Erode Agrippa, all’atto della sua elezione a re di tutta la Ioudaea nel 41. Il professore ritiene possibile tale presenza in Samaria , dati i rapporti tra Pallante ed Agrippa alla morte di Caligola, considerati il ruolo del giudeo nella elezione di Claudio e la perizia di Felice nell’amministrazione del patrimonio di Antonia, di cui è gestore generale(epitrepeusanta) l’alabarca Lisimaco Alessandro, etnarca alessandrino, fratello di Filone e padre di Tiberio Alessandro(Ant. Giud,XIX 277). Tacito (Annales XII,54 ) dopo aver lodato la parsimonia di Pallante degna degli antichi e rilevato una non pari “moderatio” del fratello, dice : atque interim Felix intempestivis remediis delicta accendebat , aemulo ad deterrima Vendidio Cumano, cui pars provinciae habebatur, ita divisis , ut huic galilaeorum natio, Felici samaritae parerent, discordes olim et tum contemptu regentium minus coercitis odiis … Lo storico latino mostra il modo di comportarsi delle popolazioni galilaiche e samaritane, che si depredavano a vicenda lanciandosi l’una contro l’altra squadre di ladroni (latrones), tendendosi imboscate e talvolta sfidandosi a battaglia, da cui traevano spoglie e bottino, che portavano ai procuratores, i quali inizialmente se ne rallegravano e poi, allarmati, intervennero pesantemente perché il fenomeno dilagava. Il quadro, fatto da Tacito è riprodotto da Flavio in Ant. Giud. XX, 160-181 e sembra che la situazione sia identica non solo sotto Felice, ma anche sotto Festo ed Albino, prima e dopo la morte di Giacomo fratello di Gesù: i romani facevano scannare tra loro sia i Samaritani e i Galilei che il popolo e i sacerdoti gerosolomitani, prima di intervenire, data anche la strana costituzione assegnata alla Ioudaea., che aveva un solo popolo effettivamente romanizzato, dall’epoca di Erode il grande, quello samaritano (che, comunque, dovette avere una flessione antiromana in epoca di Gesù Cristo) e la classe alta sacerdotale, ellenizzata, filoromana da decenni, congiunta con gli erodiani a Gerusalemme. Forse così non risulto chiaro: occorre fare precisazioni sulla costituzione data dai Romani alla regione. Sembra che Claudio, pur propendendo per lo stato monarchico a favore del figlio di Erode Agrippa I, allora diciassettenne, seguì il consiglio della cohors di amici e suddivise il regnum unitario nella provincia di Ioudaea ,di nuovo assegnata ad un prefetto, più ampia rispetto a quella del dopo Archelao, in quanto comprendeva oltre a Giudea, Idumea e Samaria anche la Galilea e la Perea ed altre parti non precisate di Auranitide di Batanea, di Traconitide e Gaulanitide, suddivise in modo incerto tra Varo (personaggio non ben precisato) e l’amministrazione diretta proconsulare di Siria, decidendo di tenere presso di sé il giovane Agrippa II, destinato, comunque, alla successione (Ant.Giud., XIX,354 ), Claudio aveva dato, inoltre, potere al fratello di Agrippa I, Erode, eleggendolo re di Calcide e gli aveva dato auctoritas sul tempio (elezione di Anania figlio Nebedeo, al posto di Giuseppe di Camei), seguendo le indicazioni di Vitellio, ora prezioso consigliere per gli affari orientali e forse aveva lasciato Felice in Samaria, dopo aver costituito di nuovo la sottoprovincia di Ioudaea, sotto la prefettura di Cuspio Fado, anche se erano iniziate le ostilità tra i samaritani filoromani e i galilei antiromani (congiunti con le popolazioni ituraiche, gaulanite, auranite, traconite e peraiche , sobillati dai confratelli partici e finanziati dai figli di Artabano e da Izate da una parte e dai re nabatei da un’altra ), complicate anche dalla presenza di un santone (episodio di Teuda, Ant.giud. XX,97-98.). Le lotte tra samaritani e galilei erano continuate, se sotto Tiberio Alessandro, la situazione era peggiorata, anche per la carestia: il figlio apostata di Alessandro Lisimaco fece crocifiggere dopo un processo, i figli di Giuda il Gaulanita , Giacomo e Simone , che dovevano essere capi zeloti, stanziati in alta Galilea o in Gaulanitide. Nel 49 la Ioudaea ebbe, alla morte di Erode sovrano di Calcide, una modifica per cui si può pensare che Felice fu riconfermato epimeletes di Samaria mentre Agrippa II aveva il regno di suo zio ed Ventidio Cumano era già prefetto. Non so se il riassunto del pensiero del professore è da me ben reso, ma penso di aver dato un’idea della difficile situazione del 49 nella provincia di Giudea, anche se Flavio in Guerra Giudaica fa una affermazione ( II,220 “ Fado e Tiberio Alessandro si astennero dall’interferire negli usi nazionali e mantennero il paese in pace”) contraddetta poi in Antichità Giudaiche. La situazione, dunque, difficile, in quel anno, degenerò, specie in Gerusalemme, per la presenza di bande armate costituitesi al soldo dei sacerdoti, del popolo e degli erodiani ( Custobar e Saul) durante la Pasqua, se Cumano predispose temendo un tumulto, centurie in difesa dei portici del tempio, apparentemente seguendo la consueta prassi: l’episodio del gesto osceno di Celere (Ant.Giud., XX,106-122 e Guer.Giud., II,223-247) fu così offensivo per il popolo da determinare scontri con le truppe romane, che fecero una strage (20 mila in Ant Giud; 30 mila in Guerra Giudaica). Il professore ritiene che tra i morti ci furono, oltre a comuni popolani e zeloti e sicari; i secondi si erano costituiti come gruppo eversivo in Gerusalemme ed erano populares, che dovevano aver fatto prove subito dopo la morte di Agrippa , e poi in epoca di Fado e di Tiberio Alessandro, confondendosi ancora con i primi. Essi si manifestarono durante la Pasqua del 49, anche se palesemente sono riconoscibili nell’episodio, avvenuto sulla strada di Bethoron, tra Cesarea e Gerusalemme, con l’imboscata a Stefano, un servo dell’imperatore, depredato del bagaglio, che determina un sistematico rastrellamento dei villaggi messi a fuoco dai soldati. In questa occasione viene bruciata da un soldato la copia della legge di Mosé (Guer.Giud. II ,228-230) da cui prende inizio una serie di processi, a seguito anche degli scontri di Ginae (Ant. Giud XX,118) dopo l’intervento di Ummidio Quadrato, governatore di Siria , che punì indistintamente i ribelli. Il processo di Cesarea era richiesto dai popolari riunitisi, venuti per uccidere il soldato reo dell’oltraggio alla torah, ma era voluto anche dai sadducei, che precedentemente in Gerusalemme avevano tentato di impedire alla massa gerosolomitana di seguire Eleazar di Dineo e Alessandro per vendicare la morte del Galileo, ucciso nello scontro tra samaritani e galilei, in quanto sicuri della reazione feroce dei romani, specie dopo lo sterminio dei banditi. Ma c’erano anche i samaritani che si lamentavano per i fenomeni di banditismo contro di loro e che poi si trasferirono a Tiro, dove si era spostato Quadrato, per accusare i giudei, ma non ottennero niente. Poi, quando Quadrato, poco dopo passò per Samaria, i samaritani di nuovo ripeterono le accuse, il governatore di Siria accertò che la responsabilità dei disordini era non solo dei samaritani ma anche di alcuni giudei e dello stesso Cumano. E nel processo successivo di Lidda , infatti, condannò oltre a Doeto , quattro rivoluzionari che avevano istigato alla rivolta e poi mise in prigione il sommo sacerdote Anania, il capitano del tempio Anano, e i loro seguaci e li mandò a Roma a rendere conto delle loro azioni a Cesare e contemporaneamente ordinò che i capi dei samaritani e dei Giudei, il procuratore Cumano e il tribuno militare Celere partissero per l’Italia per essere processati di fronte alla corte imperiale. Nel 52 la Pasqua fu serena e Quadrato tornò ad Antiochia, mentre Felice, favorito anche dal sinedrio, ebbe ratificato il governo di tutta la regione, essendo stato ben protetto in tribunale dal governatore di Siria- che aveva scoraggiato gli accusatori -(Tacito. Annales,XII,54,4): a Roma ci fu il processo tra Samaritani e Giudei. Questi ultimi, nonostante le brighe dei primi, vinsero la causa alla presenza di Agrippa II, favoriti da Agrippina moglie di Claudio: tre notabili furono condannati a morte; Cumano fu mandato in esilio e Celere, riportato a Gerusalemme fu consegnato ai giudei che, dopo averlo fu schernito, lo uccisero. Tutto il periodo di governo di Felice è stato trattato scrupolosamente da Filipponi che ha curato in special modo l’inizio del mandato: viene dapprima, mostrata la potenza del governatore, forte della protezione del fratello Pallante a corte (un principe arcade, liberto di Antonia minor - Flavio Ant. Giud. XVIII,6-, divenuto potentissimo sotto Claudio -aveva un patrimonio di 300.000000 di sesterzi Tacito, Annales, XII,53-, che aveva fatto una proposta de poena feminarum quae servis coniungerentur.) , poi viene evidenziato il patto di alleanza tra l’ex epimeletes di Samaria e i sommi sacerdoti, specie Gionata (uomo che aveva fortemente voluta la sua elezione a procuratore e che aveva brigato per ottenerla) ed Anania (47-59), dopo uno studio sui suoi rapporti con i popolari e con gli stessi sicari. L’esame dei dodici anni di governatorato effettivi in un territorio non ben delimitato e governato in modo misto (perché soggetto a nord, e a nord-est ad Agrippa II , che aveva avuto ampliamenti e da Claudio e da Nerone) è stato condotto in vari modi e su diverse direzioni. Comunque mi sembra che, in questa complessa operazione di ricostruzione storica, il professore abbia curato i particolari per cercare di capire, al di là del sistema governativo romano, il ruolo di Giacomo e di Paolo nei confronti sia dei pontefici sadducei che dell’amministrazione romana, teso a rilevare la funzione sacerdotale del fratello di Cristo, come capo popolare, nel convulso clima della procura di Felice, chiaro dalla lettura sinottica di Atti degli apostoli(21-26) di Guerra giudaica (II, 223-270) di Antichità giudaiche ( XX,137-203). La procura è stata studiata a temi: il matrimonio di Felice e Drusilla ( sorella di Agrippa II sposa a 14 anni di Azizo di Emesa e poi compagna e terza moglie del governatore romano); i rapporti tra Felice ed Agrippa II , i compromessi tra Felice e i sommi sacerdoti , compreso Giacomo;la prigionia di Paolo a Cesarea sotto Felice; la politica di Felice, interna( specie dopo che il principe giudaico ha l’amministrazione del lago di Tiberiade, a lui tolta a seguito della concessione neroniana di Tarichea, Tiberiade e Giuliade e villaggi limitrofi a favore dell’erodiano) ed estera (in relazione anche ai parti e ai nabatei). La valutazione finale sulla procura di Felice non è difforme dal giudizio positivo di Tacito ( ibidem, Quies provinciae reddita) e di Tertullo in Atti degli Apostoli(24,2-3 “per merito tuo noi abbiamo conseguito una pace profonda, grazie alla tua previdenza sono state operate delle riforme in ogni campo e in tutti i posti a favore di questa nazione e noi le riconosciamo, o eccellentissimo Felice, con somma gratitudine”). Al di là dei toni da panegirico, leggendo la storia dall’angolazione filoromana, sacerdotale, nonostante l’uccisione di Anania ordinata ai sicari, il professore ritiene che il prefetto assicuri il buon funzionamento della provincia, pacificandola con la forza, risultando previdente ed oculato nelle imprese, barcamenandosi astutamente tra gli schieramenti contrapposti. La prefettura di Felice, nonostante il giudizio di Flavio, diventa espressione di un “giusto” governo, di un burocrate claudiano-neroniano, abituato di norma a favorire la classe dominante e a reprimere l’elemento popolare, abile a conseguire l’utile per l’impero e il vantaggio personale, capace di sfruttare ogni situazione e di contrapporre tra loro gli oppositori dell’impero (popoli e classi sociali), approfittando anche della ambiguità sacerdotale sadducea, del doppio sacerdozio gerosolomitano, delle rivalità esistenti tra sadducei e farisei, specie dottrinali (resurrezione dai morti ): merito di Felice, inoltre, è quello di saper gestire la complicata vicenda di un giudeo cristiano tipo Paolo, uomo di menzogna, che scindeva perfino l’unità del malkut ha shemaim di Giacomo, testimone rigido della torah, un giusto che si opponeva alla pratica ellenistica e alle novità contrarie alla legge (accettazione libera di pagani senza circoncisione, modifiche alimentari ed altre). Giuseppe Flavio, infatti, dà della procura di Felice una lettura del tutto diversa, come inizio della fine : i tanti omicidi impuniti per lui sono segno di una mancata giustizia e quasi di una autorizzazione a seguitare nelle malefatte ad uomini che, armati, vanno nel santuario stesso e che quindi possono commettere eccidi sia dentro che fuori .Egli vede già la fine del tempio e conclude:”Dio disgustato della loro empietà volse le spalle alla nostra città perché giudicò il tempio non più un puro suo domicilio e perciò condusse i romani contro di noi, purificando la città col fuoco e condannando alla schiavitù noi, le mogli, i figli”( Ant,giud.XX,166). Il professore, infine, entro la stessa ricerca su Felice, ha dedicato un lavoro specifico al sorgere delle bande urbane in Gerusalemme: quelle sorte grazie al finanziamento dei sommi sacerdoti (Anania in particolare , ricco, superbo, avido, violento, ma che Ismaele di Fabi) che insicuri, data la rapacità dei governatori romani si proteggevano sborsando di tasca propria ; quelle nate spontaneamente dai popolari insofferenti e dei romani e dei sommi sacerdoti che non dividevano più le decime con i leviti; quelle finanziate e guidate da Erodiani, che cooperavano con i sacerdoti contro le classi inferiori: ai romani non interessava se la vita nella città, quotidiniamente era impossibile e che il tempio stesso fosse profanato da uccisioni, data la complicità dello strategos, uomo nominato dai sacerdoti come il tamias, ben collegato con le cohortes: la relazione di Claudio Lisia a Felice nell’episodio di Paolo, confuso con l’egiziano (che doveva da poco essersi sottratto ai romani Ant. Giud., XX,167-172) sottende uno stato di guerriglia, costante in città, ma rivela che per le feste l’ordine è assicurato. All’imperatore interessava la forma regolare delle festività che dovevano essere garantite e gestite pacificamente in quanto erano un affare economico: le autorità si accordavano per quei giorni e stabilivano una tregua e così i fedeli, provenienti dall’ ecumene romano e partico trovavano un clima di pacificazione generale, sorvegliata dalle armi romane. Forse sarò stato inesatto in qualche punto, ma sostanzialmente ritengo che questo sia il pensiero del professore, il quale rileva, tra l’altro, le “combinazioni” tra potere politico, religioso e finanziario, tra Roma, Gerusalemme ed Alessandria (tra l’imperatore, la classe sacerdotale e la finanza oniade) impegnate a conseguire il massimo profitto disinteressata alla massa popolare, paria nella sua stessa terra.
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